Sono mamma di due ragazze ormai adolescenti: Tanya di 18 anni e Aurora di 14 anni. Quando abbiamo scoperto dell’arrivo di Leonardo abbiamo avuto un misto di emozioni, la gioia di avere un piccolo per casa ma allo stesso tempo la paura di ricominciare tutto di nuovo. La gravidanza è andata tutto sommato bene, Leonardo è nato il 4 dicembre 2020. Il parto è stato velocissimo. Avevo intuito che qualcosa non andasse bene sin da quando l’ho preso in braccio la prima volta. A differenza di Tanya e Aurora, Leonardo facevo fatica  a tenerlo, avevo la sensazione che mi scivolasse. In quel momento non ho dato troppo peso a quell’episodio. I giorni seguenti Leonardo non piangeva o se lo faceva emetteva un pianto debole, non sapeva ciucciare ma ancora non sapevo dare una spiegazione a tutto quello che stava succedendo.

Dopo l’ennesimo tentativo di farlo mangiare mi riferiscono che devono fare degli accertamenti (esami del sangue, ecografia e visita NPI). Dai primi esami sembra andare tutto bene. Al terzo giorno, comincia a mangiare ma con fatica, quindi mi tranquillizzo e penso che andrà tutto bene. Il quarto giorno ci dimettono e torniamo a casa felici ed emozionati, a quel punto tutte le paure e le ansie dei giorni scorsi spariscono. I giorni a seguire sono pesanti ma comunque emozionanti, Leonardo era un bimbo dolcissimo.

Lo coccoliamo tutti. Ed eravamo felici.

Tutto cambia il 12 dicembre quando, dopo un semplice bagnetto, Leonardo cambia colore, passando da un grigio a un blu scuro, in quel momento non capivo nulla, l’unica cosa che riuscivo a fare era scuoterlo e urlare il suo nome. L’unica che, pur essendo terrorizzata, riesce a prendere in mano la situazione e chiamare subito l’ambulanza è stata mia figlia di 18 anni. I soccorsi arrivano subito. I paramedici decidono di portarlo in ospedale dove c’è la terapia intensiva neonatale.

Arrivati al pronto soccorso, dopo averlo visitato, la neonatologa decide di ricoverarlo. Quello è uno di quei momenti che non riuscirò mai a dimenticare. Pensavo di poter rimanere io con lui ma a causa della pandemia dovevamo aspettare l’esito del tampone.

Quando vengono le infermiere con una culla che sembrava una navicella spaziale e lo portano via mi crolla il mondo addosso. Quando ritorno a casa e rivedo la culla vuota di Leo, mi sono sentita smarrita. Non facevo altro che pensare a Leonardo lì, solo, in terapia intensiva, senza riuscire a trattenere le lacrime.

La prima cosa che volevo fare era chiamare in reparto per avere notizie del mio bambino, ma non volevo essere assillante, quindi ho aspettato fino a sera, quando mi chiamano avvisandomi che andava tutto bene. Li risento la mattina dopo e mi dicono che Leo ha avuto un altro episodio come quello della mattina prima. Nel pomeriggio mi chiamano dicendo “mamma può entrare dal suo bambino”, così preparo la valigia e corro dal mio bambino, dicendo alle mie figlie che saremmo tornati presto.

Una volta arrivata in reparto pensavo di ritrovare il mio bambino come l’avevo lasciato invece la ritrovo attaccato a tanti fili per tutto il corpo.

La stanza piena di dottori “mai visti tanti medici in vita mia”. Poco dopo si avvicina una dottoressa che mi spiega il tipo di esami che avevano fatto. Non ricordo altro. I miei occhi erano sul mio bambino. Ma perché ci stava succedendo tutto questo?

Nei giorni seguenti mi viene comunicato che la situazione è delicata e che da lì in poi Leonardo dovrà eseguire degli esami più approfonditi (rachicentesi risonanza ecc). Nel frattempo, Leonardo continuava ad avere “crisi di apnea” con desaturazione grave.

Da quel giorno Leonardo viene seguito da un team di specialisti, tra cui neurologa, NPI, genetista ecc…

Dai primi esami fatti non avevano trovato nulla di rilevante, così da lì in poi verrà fatta una ricerca sulle malattie metaboliche e malattie genetiche rare.

I mesi passano con Leo che continua a stare male, così la sua neurologa prova ad iniziare una terapia per fermare le crisi di desaturazione. Il farmaco inizia a funzionare, ciononostante i medici continuano con la ricerca.

Quattro mesi. Quattro mesi di angoscia, di pianti, di paure. Le giornate erano tutte uguali. È strano dire che tutta la propria vita dipendeva da un esserino di appena 55 cm ma è così. Passavo le mie giornate ascoltando il suono periodico della macchina che gli monitorava i battiti, temendo che si fermasse.

In questo periodo ho instaurato rapporti con mamme di bimbi prematuri e, in un modo o nell’altro, riuscivamo a sostenerci a vicenda perché, in fondo, anche se per motivi diversi, eravamo sulla stessa barca. Tutte noi avevamo qualcosa di rotto dentro. Ed è proprio questo che mi ha fatto sentire meno sola.

È il 26 marzo e, finalmente, usciamo dalla TIN. Ero emozionata per il rientro a casa ma questo allo stesso tempo mi impauriva. Non avevo più la sicurezza nell’avere le infermiere e i medici che erano pronti ad avere le situazioni sotto controllo nei casi di emergenza. Ora toccava a me.

Ci dimettono senza diagnosi. Tornati a casa la nostra routine familiare cambia completamente. Ho dovuto imparare a mettere il sondino nasogastrico e a riorganizzare tutto. Leonardo, i primi mesi, doveva prendere le sue terapie ogni due ore.

Ad aprile Leonardo iniziava a frequentare un centro di riabilitazione tre volte a settimana. Fa diversi controlli periodici alla vista, all’udito ecc. A giugno ci viene data una parte della diagnosi dove risulta che Leo ha una delezione del cromosoma 1 e una mutazione di alcuni geni. Questo porta a un ritardo psicomotorio ed intellettivo. I medici mi avevano detto che di questa mutazione genetica se ne contano in letteratura scientifica all’incirca 15 persone al mondo. Ci fanno alcuni esami anche a noi genitori, per poter valutare la possibilità di un’ereditarietà della mutazione.

Arriva l’estate, Tanya e Aurora si affezionano sempre di più al fratellino e, finalmente, possiamo andare in vacanza dai parenti in calabria che non hanno ancora potuto vedere Leonardo a causa del covid. Passiamo una bella estate in compagnia e al mare dopo tanto tempo. Avevamo tutti bisogno di questo periodo di serenità e spensieratezza. Quando ho avuto modo di vedere altri bimbi più piccoli di Leo, ho cominciato a notare le differenze. Mi rendo conto di quanto Leonardo non fa. Fino a quel momento ne ero consapevole ma non ho avuto modo di vedere in faccia la realtà. Vedevo solo Leo a casa e in riabilitazione (dove c’erano bambini con le sue stesse difficoltà).

Purtroppo, a fine estate Leo ha più di una ricaduta (desaturava troppo) e lo portiamo al pronto soccorso.

Questa sarà solo la prima di una lunga serie di entrate e uscite dall’ospedale. Alternava brevi periodi in cui sembrava riprendersi e farsi ogni giorno più forte, a periodi in cui dovevamo portarlo al pronto soccorso, dove veniva ricoverato sempre per virus respiratori.

L’ultima volta che siamo andati in pronto soccorso, a novembre, è stata la più grave. Perché lo hanno dovuto ricoverare in TIN mettergli il casco. In quei giorni ho avuto le stesse paure che avevo quando era appena nato. Ritornare in TIN mi ha riportato a quei giorni. Durante questo ricovero ci riferiscono la conclusione della diagnosi: la mutazione genetica non arriva da noi genitori, ci viene confermata la malattia rara e questa porterà a Leonardo gravi disabilità motorie e intellettive.

In quel momento sono scoppiata in un pianto che non riuscivo a trattenere, mi è dispiaciuto anche averlo fatto davanti alle sue dottoresse ma non riuscivo a fermarmi.

Tornando a casa ho dovuto affrontare un nuovo problema: ho dovuto dire alle mie figlie della diagnosi Leonardo. Mia figlia grande ha pianto ma ha compreso la situazione. La piccola, invece, l’ha presa un po’ peggio perché, oltre ad aver pianto tanto, si è anche arrabbiata: “perché tutto questo è successo a Leonardo? Perché a noi?” diceva lei come se avesse buttato fuori qualcosa che si teneva dentro da troppo tempo.

Dopo tutti questi ricoveri, gli hanno sospeso la fisioterapia fino a febbraio, per proteggere più possibile Leo e noi ci siamo isolati da tutti.

Cosa posso dire, la nostra vita è cambiata tantissimo come mai mi sarei aspettata. Ogni giorno affrontiamo difficoltà piccole o grandi, che siano, ma le affrontiamo insieme.

A volte mi fermo pensare che anche se ci sono giornate in cui accetto la situazione e vado avanti, ci sono anche dei giorni in cui prevale lo sconforto. Ma basta che mi fermi a guardare il mio Leo, con i suoi grandi occhi azzurri, mentre gioca con le sue sorelle o mentre, a modo suo, accarezza il suo papà e penso a quanto sono fortunata ad averlo nella mia vita e che non posso immaginare la mia vita senza di lui.